FONDAZIONE LATINA 2032: UN'OCCASIONE PER RACCONTARSI DAVVERO
La Fondazione nasce per celebrare il centenario della città, ma per trasformarla in un vero laboratorio culturale occorre uno sguardo nuovo: trasparente, inclusivo e capace di immaginare il futuro.
La Fondazione Latina 2032 prima ancora di nascere ufficialmente, ha già il peso sulle spalle di aspettative alte, altissime. Anche se il rischio più concreto che corre, è cadere nei soliti errori. Non parlo delle discussioni infinite sull'esistenza o meno della presunta architettura razionalista. Perché poi alla fine non possiamo aspettarci che 9 milioni di euro vengano spesi per (esagero) quattro colonne, pure se hanno il loro fascino un po’ fascio, tra il liberty e l'austero. Parlo proprio del concetto. La Fondazione di partecipazione – così si chiama l'istituto di diritto privato di cui si sta dotando il Ministero della Cultura, insieme con tutti gli altri 'soci di minoranza', tra cui il Comune di Latina – vuole essere un grande progetto per celebrare i primi cento anni di Latina; ma ha tanto il sapore di costituire l’ultima spiaggia della cultura pontina.
La sfida è ambiziosa: sicuramente promuovere la cultura architettonica razionalista del Novecento, ma, mi auguro ancora di più, fare sistema tra le città di fondazione e valorizzare il territorio pontino come un grande patrimonio culturale da riscoprire. Ma poi vai a leggere il testo della legge e ti accorgi che il rischio è di perdersi in un progetto calato dall’alto, più che costruito dal basso. E non tanto perché nei consigli d’amministrazione ci saranno i soliti noti. Sgombero il campo da ogni equivoco: per me rimarranno sempre meglio i soliti noti che illustri (e incompetenti) sconosciuti. In particolar modo se l'unica qualità degli illustri sconosciuti è quella di essere nati a Latina e dintorni. Quello che mi preoccupa è che al momento non è dato sapere come si intende misurare le ricadute positive per tutti i cittadini. E il loro coinvolgimento. Che in tutto questo darsi da fare per i festeggiamenti del Centenario, proprio la città (intesa come somma di tutti i suoi abitanti) rischia di recitare il ruolo di comparsa.
Eppure, Latina 2032 potrebbe essere davvero un laboratorio di memoria collettiva. Ma serve coraggio. Serve uscire dalla retorica dei grandi eventi (basta con la quantità!) e dalle vetrine patinate. Perché la città non può essere solo un museo a cielo aperto da lucidare per i turisti. Che poi a pensarci, noi manco questo facciamo. Latina è un cantiere aperto, dove il passato e il presente continuano a scontrarsi. Identità che vengono a cozzare perché pochi (pochissimi) si prendono la briga di provare a moltiplicare invece che dividere. A trovare punti in comune che cause di divisione.
Perché non immaginare allora un modello diverso? Un modello che non sia solo la celebrazione dei fasti di Littoria, di un'architettura che se magari qualcuno la questione se la studia bene uscendo fuori dalla circonvallazione scopriamo che è stato anche strumento di segregazione razziale solo qualche anno più tardi, grazie anche alle sperimentazioni delle varie bonifiche. Serve una vera officina di idee per il futuro. Un modello che parta dalle storie invisibili, dai quartieri di periferia, dai lavoratori e dalle lavoratrici che, loro sì, hanno fatto sempre la storia di questa città. Un modello che dia voce ai giovani e li coinvolga davvero, non come spettatori ma come protagonisti.
La Fondazione Latina 2032 dovrebbe essere un organismo trasparente, che oltre a rendere conto di ogni centesimo speso, si doti di un bilancio sociale annuale. Magari pubblicato e discusso con la cittadinanza, per capire cosa è stato fatto e cosa ancora resta da fare perché questi 9 milioni di euro si moltiplichino in ricadute positive economiche, sociali, culturali. E perchè così il Consiglio di Amministrazione con i soliti noti (e competenti) possa interloquire in maniera positiva con i cittadini, che mi piacerebbe vedere recitare il ruolo di portatori di storie, idee e progetti concreti.
La Fondazione dovrebbe essere un acceleratore di iniziative culturali e sociali, un hub per le nuove generazioni. Residenze artistiche per chi vuole raccontare Latina con nuovi linguaggi – il teatro, la street art, il documentario. Borse di studio per chi vuole studiare la storia della città e restituirla alla comunità in nuove forme. Laboratori di storytelling per raccogliere le memorie di chi ha vissuto il boom e poi il fallimento industriale, il degrado e magari la rinascita.
E poi, una rete di luoghi simbolici sparsi per tutta la città: non solo il centro storico, ma anche i borghi, i quartieri popolari, le ex fabbriche. Spazi in cui organizzare mostre, incontri, proiezioni. Spazi aperti, inclusivi, dove chiunque possa entrare e dire la sua. Peccato che ci siamo affrettati (come comunità, perché le decisioni di una parte - ricordiamocelo - ricadono su tutti) a dare spazi all'Università, che ancora deve decidere cosa farci.
Lo ha fatto solo il ministro Giuli il giorno della presentazione della Fondazione. E poi niente. Ma possibile che nessuno citi Antonio Pennacchi? Lui, che da operaio della Fulgorcavi ha reso Latina un luogo letterario. Lui che ha narrato la storia di tutti, dei coloni e dei migranti degli anni del boom, dei fascisti e degli antifascisti, di chi è partito e di chi è rimasto, di chi ha dato sempre il suo contributo con il lavoro. Lui che in "Canale Mussolini" ha tracciato un affresco della città nato dalla polvere e dal sudore dei contadini veneti, senza mai nascondere le contraddizioni di una Littoria che era al contempo miraggio e incubo.
Latina 2032 dovrebbe ispirarsi a questo spirito critico. Far parlare non solo gli esperti, ma anche i cittadini. Creare spazi di discussione aperta nei quartieri, nei borghi, nei centri sociali. Aprire le porte delle scuole, dei teatri, dei capannoni industriali dismessi. Organizzare residenze per giovani artisti che vogliano raccontare la città con linguaggi nuovi: il rap, i murales, i cortometraggi. E farlo con trasparenza. Come si fa a Velletri, qui vicino, ma anche a Genova, dove ogni euro speso è documentato e restituito alla città in un bilancio sociale pubblico.
Il cuore del progetto deve restare il racconto. Raccontare Latina, come ci ha insegnato Pennacchi, guardando la città da dentro, senza nascondere nulla. Latina è bella, sì, ma è anche un po’ matta. Latina è una città che si crede moderna ma ha un cuore antico, un po' impaludato, che vuole essere capitale culturale ma non sa ancora come raccontare la sua storia per intero. Latina è una città in cerca di se stessa, e forse Latina 2032 potrebbe aiutarla a trovarsi. Ma solo se avrà il coraggio di guardarsi in faccia, nelle sue molteplici identità. E raccontare tutto, senza omissioni. Perché altrimenti, anche questa e sarebbe davvero un peccato, potrebbe essere l'ulteriore e la più grande occasione persa.