IL PRINCIPIO: LA RELAZIONE
Intervista al prof. Roberto Franchini, docente associato di metodologie per la prevenzione della marginalità e pedagogia speciale alle università di Brescia.
L’11 luglio 2024, Il Ministro dell’Istruzione e del Merito ha diffuso una nota direttiva avente per oggetto: disposizioni in merito all’uso degli smartphone e del registro elettronico nel primo ciclo di istruzione, A.S. 2024-2025.
Nella nota l’on. Valditara dispone il divieto dell’uso in classe del telefono cellulare.
Ne abbiamo parlato con il prof. Roberto Franchini, docente di Pedagogia Speciale all’università di Brescia e all’Università Cattolica.
Il ministro, nella nota, perentoriamente vieta l’uso degli smartphone anche per uso didattico, in ogni classe dall’Infanzia fino alle scuole secondarie di primo grado.
Per giustificare tale divieto, l’on. Valditara cita il rapporto Unesco GLOBAL EDUCATION MONITORING REPORT del 2023: Technology in education: A TOOL ON WHOSE TERMS?. Eppure nel rapporto, a leggerlo con attenzione, c’è un invito affinché la tecnologia venga utilizzata in classe solo quando supporta i risultati dell’apprendimento e questo include l’uso di smartphone. Il rapporto mostra che alcune tecnologie possono supportare un certo apprendimento in alcuni contesti, ma non quando sono sovrautilizzate o utilizzate in modo inappropriato.
Lei, che ha coniato il termine “educativo digitale”, parlando di “cambio di paradigma” nella pedagogia, che ne pensa?
È chiaro che il rapporto tra scuola e tecnologie è un rapporto difficile e controverso e che la tentazione potrebbe essere quella della semplice (e forse irrealistica) negazione. Me la cavo citando proprio la direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, che, commentando il GEM 2023 appena presentato, ha semplicemente affermato (testuali parole) che "la rivoluzione digitale ha un potenziale incommensurabile ma, così come sono stati lanciati degli avvertimenti sul modo in cui dovrebbe essere regolata nella società, un'attenzione simile deve essere prestata al modo in cui viene utilizzata nel contesto dell'istruzione”. E poi: "Il suo utilizzo deve essere finalizzato a migliorare le esperienze di apprendimento e a favorire il benessere di studenti e insegnanti, non a loro discapito”.
In sostanza, ciò che sta dietro a questa dichiarazione è che la tecnologia è un fattore neutro, e che il suo impatto sull’apprendimento dipende da come essa viene utilizzata: “se da un lato le tecnologie in classe possono essere utili per l'apprendimento degli studenti, dall'altro possono avere un impatto negativo se usate in modo inappropriato o eccessivo, come spesso accade con gli smartphone”.
Insomma, qualsiasi fattore esterno (tecnologia o altro) può essere utile oppure ostacolare l’apprendimento (o altre manifestazioni della ricchezza dell’essere umano). Scherzandoci un po’ su (ma nemmeno tanto), persino il libro è una “tecnologia” che, se usata in modo inappropriato o eccessivo, può danneggiare l’apprendimento! Basta pensare a come un uso rigido del libro di testo possa annullare il senso critico, o come l’accumulo di fonti libresche possa indebolire la motivazione.
Per concludere: è certamente vero che lo smartphone può ipnotizzare i nostri studenti, danneggiano il loro percorso di crescita, ma il compito della scuola è probabilmente proprio educarne l’uso efficace (anche per l’apprendimento), e non semplicemente vietarlo. La negazione, per altro, rischia paradossalmente di alimentare la dipendenza, come accade quando gli studenti “finalmente” possono accenderlo quando la scuola “nemica” suona la campanella….
Il ministro, poi, nella stessa circolare, parla di una correlazione tra l’uso degli smartphone nell’infanzia e nella preadolescenza e il fenomeno degli Hikikomori. Lei si occupa di proprio di metodologie educative per la prevenzione della marginalità, come legge questa correlazione?
Certamente la tecnologia, come anche altri fattori pervasivi dell’esperienza umana, può generare chiusura e isolamento, particolarmente in individui vulnerabili… ma, ribadisco, l’educazione passa attraverso il rischio educativo, non attraverso i divieti e le cautele (per altro irrealistici nella cosiddetta infosfera).
Possiamo comunque fare un distinguo: durante l’infanzia, particolarmente nella fascia cosiddetta “eteronoma” (2-6 anni), l’adulto può e deve regolare l’accesso alle tecnologie (al contempo aprendo al bambino la “superiorità” di altre esperienze). Così il bambino, mediante il “contenitore” dell’adulto, impara i ritmi che sceglierà autonomamente più avanti. L’adolescenza, invece, è l’età dell’autonomia, e questo già a partire dagli 11 anni: dunque, qui è il tempo di educare “dentro” l’utilizzo delle tecnologie, e non mediante l’assenza di esse. Per altro, esistono anche dati che tendono a rivelare che i ragazzi che usano molto i social sono anche più “sociali” nella vita reale. Dai, non con la paura educheremo le nuove generazioni!
La nota si conclude con un’altra raccomandazione ai docenti: far scrivere i compiti sul diario per poter “dosare l’uso della tecnologia” e far sì che i bambini e i preadolescenti siano autonomi non dipendenti dai genitori, possessori delle pw per accedere al registro.
Può l’autonomia di un ragazzo o di una ragazza essere fondata su un divieto? Se il web diviene uno spazio interdetto e proibito, se la scuola rinuncia ad essere presente in quello spazio, esso non diverrà sempre più pericoloso per i suoi frequentatori?
Personalmente, e probabilmente in modo altrettanto irrealistico, sono contrario al registro elettronico, una sorta di “grande fratello” che deresponsabilizza gli studenti, rafforzando l’eterno e dannoso gioco del controllore-controllato… dunque il principio è sano: promuovere l’autonomia degli studenti! Ma questo obiettivo non si costruisce con i divieti!
Mi allargo un po’ criticando anche la routine dei compiti a casa, probabilmente superabile (o già superata) in un contesto dove copiare è facile, mentre occorre far lavorare con creatività gli studenti, e questo non a casa, ma nello stesso contesto scolastico. Per altro, sembra che i compiti a casa costituiscano anche un fattore di dis-equità della scuola, finendo per favorire gli studenti che a casa dispongono di aiuti, sia umani che, appunto, tecnologici.
Nulla di ciò che viene da fuori può rovinare l’uomo, e la scuola non potrà a lungo resistere agli straordinari mutamenti di contesto provocati dalla disponibilità delle nuove tecnologie. Né si tratta di accettarle passivamente, inserendole in un contesto immutato, semplicemente sostituendo qualcosa con qualcos’altro…. l’educativo digitale non è l’uso della tecnologia a scuola, ma l’intuizione di come cambia il fatto educativo, in presenza delle nuove tecnologie. Se ben pensato e guidato, è probabile che il loro avvento impedisca le modalità deboli (artificiali) di insegnamento, provocando una rivoluzione di paradigma, che libera i giovani verso forme reali e creative di apprendimento. Perché questo avvenga occorre una nuova generazione di insegnanti, pronti a scendere (almeno un poco) dalla cattedra e a porsi di lato, sostenendo, con una relazione ad un tempo attenta e discreta, l’attività dei loro apprendisti.