COME FOSSE L'AMERICA
Dimensione onirica e realtà invisibile: similitudini, metafore e realtà tra continente americano e Agro Pontino.
Qualche giorno fa, Marco Omizzolo, per dare forza icastica alle sue dichiarazioni sulla condizione disumana dei braccianti in Agro Pontino, ha paragonato questa terra alla Louisiana degli anni ‘50.1
Ferma restando la condivisibilità totale della sua posizione a difesa dei braccianti e contro il caporalato, mi sono soffermato sul paragone: la Louisiana degli anni Cinquanta, cioè la triste eredità del razzismo schiavista. Gli Stati Uniti, negli anni ‘50, avevano infatti ancora leggi razziali. Anche, anzi ancor più, quando hanno dato il loro fondamentale, insostituibile, contributo alla liberazione dal nazismo e dal fascismo, avevano leggi razziali. L’America delle contraddizioni.
Anche i più antiamericani, anticlericali, antifascisti di queste terre, dove io vivo, non riescono a uscire dal prototipo culturale che gli Stati Uniti ci hanno sempre proposto, che sia in funzione del progresso capitalista, oppure del conservatorismo clerical-borghese.
È meglio procedere con un po’ di ordine.
Partiamo da una considerazione generale sull’Agro Pontino oggetto di bonifica: c’è una legittima lettura sulla trasformazione ambientale di questo territorio secondo la quale l’intervento - anzi, gli interventi bisogna dire - dell’Italia liberale e poi fascista hanno prodotto la devastazione eco-biologica e la distruzione economica di una regione, con depauperamento degli autoctoni in favore di sconsiderati e deliranti ideali di propagandistico progresso. Certamente, con gli occhi di oggi e le riflessioni maturate negli ultimi sessant’anni, la bonifica appare come una violenza alla biodiversità, agli ecosistemi e, talvolta, anche all’economia sottesa a tali insiemi. Gli equilibri di coesistenza sul pianeta sono notoriamente, ormai, saltati in molte aree a causa di un’antropizzazione irrispettosa del sistema ecobiologico di cui l’umanità è parte e non proprietaria.2
Mi domando però perché, in questo legittimo e fondato ragionamento, si trascuri un elemento che, a mio avviso, ha un peso primario: l’ecosistema Pontino non era frutto di un’umanità rispettosa ma, al contrario, superbamente padrona e sfruttatrice. Migliaia di ettari nelle mani di un solo proprietario che, senza alcuna necessità del minimo impegno intellettuale ed economico, traeva di che sostenere le proprie gite in barca, i propri palazzi a Roma, il suo amore per l’arte. Un sostegno a base di concessioni ed elargizioni. Tipo far portare al pascolo le proprie pecore e farsi pagare per utilizzare i prati dal pastore. Oppure prendere la percentuale sul ceduo. O sulla pesca nei laghi e nei fiumi. Tutto senza alzare un dito, fare un’opera di manutenzione, garantire un minimo di sicurezza. Senza preoccuparsi dell’igiene, della malaria, della dignità della persona. Un eden con il vizietto, diciamo, di essere romanticamente affascinante per i ricchissimi borghesi e nobili europei che venivano a farsi ispirare, per poi tornare rapidamente a casa mentre la gente del posto rimaneva a pagare il pizzo ai Caetani, ai Di Stefano, ai Colananni. Gente che doveva sentirsi onorata se poteva portare in braccio i rampolli di buona famiglia perché non si sporcassero le scarpe. Nella “Amazzonia d’Italia”. Proprietà privata, vietato tutto. Tranne pagare.3
Ora, io non posso e non voglio dire che i fascisti fossero degli attenti ambientalisti però andiamo oltre dicendo pure, per onestà, che le bonifiche non le ha inventate il fascismo. Semmai le ha rese definitivamente un elemento di propaganda, con l’immaginario colonial africano. A ben vedere, inoltre, con la fissazione dell’Agro Pontino e non, per esempio, del Tavoliere delle Puglie. Se proprio dobbiamo responsabilizzare qualcuno della distruzione in Italia degli ecosistemi paludosi (e malarici, diciamolo ancora non troppo per inciso) dovremmo risalire all’Unità d’Italia e a Cavour. È da lì che parte l’indirizzo per un’Italia a trazione agricola. Modernizzata, progressista, meccanizzata, sperimentale. E, di conseguenza, dove c’è disoccupazione, serve terra. Terra ed energia. Arrivare ai gruppi elettrofinanziari, dalla fine dell’Ottocento è stato un attimo. E il fascismo non ne è stato il motore. Dopodiché, fermata la spinta dei capitali e impossibilitati a invertire la marcia, abbiamo visto la sistemazione complicata e non esattamente efficace del fascio, che poi hanno chiamato bonifica e appoderamento, con le città a ipotetico compimento. Di sicuro, una sostituzione di problemi c’è stata. La gente autoctona, tenuta sotto scacco dai latifondisti, per primi i Caetani, non aveva imparato a fare nulla che non fosse sussistenza da sfruttamento. Per l’appoderamento occorrevano mezzadri… e dunque la colonizzazione. Che, per non aprirci a fraintendimenti, non è stato altro che un trasferimento di persone che potessero avere le capacità per ottenere un contratto di colonìa,4 dal quale, tuttavia, molte hanno receduto. Nessuna ha occupato militarmente il territorio. Quel poco che avevano, gli autoctoni lo hanno perso perché i padroni unici della terra in cui erano nati li avevano tenuti come animali in gabbia. Fuori dalla gabbia, vittime della jungla (ecco che anche io uso una metafora colonialista).
Va be’, detto questo, i paragoni che vengono più facilmente fuori nel dibattito pubblico, rispetto all’Agro Pontino anni Trenta e oggi, dicevo, sono tutti Americans. La logorrea edilizia del dopoguerra, oltre all’ovvio Far West è paragonata al Klondike. Che è un bel paragone alienante, ovviamente basato sul fatto che quella terra ha ospitato la corsa all’oro, non certo la furia edilizia, che in Klondike ancora oggi non è il primo dei problemi. La corsa all’oro viene ripresa anche su siti internet che guardano a questa terra come la nostra frontiera, il nostro Far West.5
Ma a 20 km da Cisterna e a 30 da Terracina, circondati da paesi millenari, è difficile accettare il paragone. Questo naturalmente è, però, funzionale al pionierismo (termine ripreso, guarda un po’, dall’immaginario della corsa all’oro nel Klondike) costruito sui personaggi che hanno partecipato ai lavori del Consorzio di Bonifica mischiandoli con i collocati nei poderi.6 Una retorica tutta anni Cinquanta e Sessanta che nasceva proprio insieme ai primi vagiti dell’ambientalismo diffuso. Così, secondo un giornalista di Repubblica, qualche anno fa, Antonio Pennacchi avrebbe trovato in Agro Pontino il suo Far West.7 Lui stesso, Antonio, paragona le Dispense nate sul territorio ai saloon e ai general store (tutto da filmografia, ovviamente).8
È inutile, non ci viene in mente altro. E allora, ecco il documentario sui primi abitanti di questa terra, dal titolo Piccola America. Gli amici americani del cantautore Calcutta, paragonano Latina alle cittadine dell’Alabama.9 Antropologhe americane usano il Texas10 che funziona bene col blues della Louisiana e che a Pontinia sublimano con un festival blues. In verità, non c’è alcuna sovrapponibilità tra la condizione dei neri negli Stati del Sud nel dopoguerra, degli indigeni postunitari e dei Sikh di oggi nell’Agro Pontino. I neri negli Stati del Sud erano cittadini che vivevano in una confederazione con un’unica costituzione, contraddittoriamente integrata dalle leggi Jim Crow11 prima e da vari echi culturali e sostanziali poi, attraverso cui cittadini liberi erano segregati, violentati, vedevano i propri diritti compressi pur avendo documenti d’identità e cittadinanza. La parte di indigeni dell’Agro Pontino che viveva all’ombra del latifondo, era formata da nullatenenti, cittadini virtualmente liberi sotto la monarchia e lo statuto albertino, liberi nella condanna a vivere, senza leggi specifiche che li segregassero ma prima non abbastanza evoluti per essere rispettati dai padroni delle terre e poi, durante il fascismo e le leggi razziali, neanche degni di rappresentare la razza italica, ormai costituita inconsapevolmente e incolpevolmente dai nuovi mezzadri, come ci ha insegnato Almirante durante il suo viaggio razziale.12
I Sikh e i loro sfortunati compagni di viaggio di oggi non sono cittadini; dentro uno stato democratico - che ha una Costituzione la quale, fondando la Repubblica sul lavoro, li proteggerebbe - vivono peggio degli indigeni nei latifondi, braccianti senza neanche un nome. Viste le loro capacità, forse sarebbero stati degli ottimi mezzadri nei poderi. Invece ci vanno ogni giorno, in quei poderi o la loro evoluzione, da fantasmi. Se muoiono, nessuno ne rivendica nemmeno la proprietà, come si sarebbe fatto per uno schiavo. Francamente, agli indigeni con cittadinanza sfruttati, sono più facilmente paragonabili i giovani dai contratti a tre mesi, gli stagisti, gli spremuti da “imprenditori” di ogni risma che non pagano le tasse e si lamentano senza permettere, a chi lavora per loro, di garantirsi uno straccio di prospettiva. I Sikh, e con loro molti migranti, stanno decisamente peggio, meno degli schiavi, in uno stato che non gli concede il permesso di soggiorno, che non li riconosce portatori di diritti minimi anche quando li chiama a lavorare e li massacra.
E dire che quando gli americani volevano mettere un sacco di soldi sull’Agro Pontino, il governo fascista li ha rifiutati.13 Però culturalmente è l’unico paragone che ci sovviene.
In questa american sudditanza, per molti versi involontaria, sfugge che la Louisiana fu un acquisto nazionale. Da demanio a demanio. Non una proprietà privata espropriata. Le condizioni di vita che lì si svilupparono sono frutto di scelte economiche precise (il porto) ma nel contesto di una storia coloniale di occupazione, anche militare. Tutti gli Stati Uniti sono storia di occupazione progressiva di territori, generalmente violenta. E prima di schiavitù, poi di leggi razziali. È la contraddizione dell’uomo occidentale che produce costituzioni inclusive e leggi esclusive nello stesso contesto sociale. Ma l’operazione di paragone o sovrapposizione è solo suggestione superficiale, non filologica né antropologica. L’appoderamento in Agro Pontino non è stato frutto di un’occupazione militare, è stato il risultato della volontà statale di far quadrare i conti agricoli, discriminando gli inabili al disegno precostituito. Ai braccianti sudditi del latifondo si sostituivano coloni, cioè i contrattualizzati a colonìa, che attraverso la conduzione mezzadrile aumentassero la produzione per ettaro. Modello cui si dovettero sottomettere anche i latifondisti che non subirono l’appoderamento dell’Opera Nazionale Combattenti, peraltro con diverse esclusioni figlie di raccomandazioni di relazione.
L’ascendenza statunitense sull’immaginario pontino ha spinto a prendere in prestito icone come i Padri Pellegrini sulla Mayflower.14 Ecco, qui siamo veramente sul paragone improprio. Perché se c’è un’occasione in cui l’inserimento di una nuova comunità avviene con la collaborazione degli indigeni, anche con trasferimento di saperi fondamentali e dunque di integrazione, be’, quella è la vicenda dei Padri Pellegrini, festeggiata come generatrice di fortune nella celebrazione del Ringraziamento.
Vediamo meglio, infine: proprio gli Stati Uniti hanno una storia di palude “governativa” trasformata per imperio. Riguarda la città più importante, la capitale della Federazione: Washington.
Thomas Jefferson, nel 1790 aveva deciso di fondare una città capitale figlia della cultura classico illuminista che lo informava. Scelse un posto veramente difficile, le paludi del Potomac. Esiste uno schizzo in cui di propria mano colloca le sedi per il presidente (la futura Casa Bianca), il Mall e il Campidoglio, chiarendo una volontà di ispirazione classica che lo porta a chiamare il ramo d’acqua più vicino a quelle sedi “Tyber”, il Tevere. Contrariamente a Littoria, che nasce in un punto dove la palude non c’era, Washington nasce proprio nel fango. È lì che sono custodite la Dichiarazione d’Indipendenza e la Costituzione; qualche anno fa, piogge fuori standard hanno fatto alzare il livello del “Tyber” che adesso scorre tutto sotterraneo - perché va bene la cultura classica però la comodità è un’altra cosa - ed entrambi le carte hanno rischiato di essere distrutte per allagamento.15
Thomas Jefferson è un personaggio che racchiude le contraddizioni degli Stati Uniti e dell’umanità. La Dichiarazione - stilata da lui, di cultura classica greca, che concepiva e desiderava la società oligarchica tipica della Grecia classica, con diritti per pochi bianchi e schiavitù istituzionale - necessita ovviamente di interpretazioni come la Costituzione che ne derivò ha necessitato di emendamenti.
Dalla Palude di Washington, però, nacquero contemporaneamente la Costituzione che protegge i diritti dell’uomo - individuati nella Dichiarazione - e le lotte per l’abolizione della schiavitù, istituzionalizzata nel tredicesimo emendamento della costituzione americana il 18 dicembre 1865, nonostante il redattore stesso della Dichiarazione, Jefferson, avesse posseduto centinaia di schiavi e fosse stato proprietario terriero. È la storia dell’uomo che continua la riflessione, allarga il campo culturale e la sensibilità. La parte migliore, insomma.
Un bel 18 dicembre quello, serio, importante, da celebrare non per un inutile discorsetto propagandista a mettere il cappello su iniziative di ordinaria politica ma per un importante segnale di modernità e di rispetto dei diritti umani; di evoluzione degli ideali. Proprio la data dell’approvazione di quell’emendamento, il 18 dicembre, è stata proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con Risoluzione 55/93, Giornata Mondiale dei Migranti. Ripeto, Giornata Mondiale dei Migranti. Nonostante tutte le note contraddizioni successive a quel 1865 e i violenti rigurgiti durati fino agli anni ’70, francamente un po’ di propaganda/retorica sulla bonifica del Potomac l’avrei tollerata. Invece, a Washington, della loro edizione de “La Conquista della Terra”, non hanno bisogno. E si capisce.
https://www.ansa.it//sito/notizie/cultura/tv/2023/02/17/mario-tozzi-a-sapiens-lagro-pontino-come-lamazzonia_24c59b7b-1085-4972-b6ca-5b8259095095.html ma anche, sul piano scientifico, l’interessante P. Gruppuso, Nell'Africa tenebrosa alle porte di Roma. Viaggio nelle Paludi Pontine e nel loro immaginario, Roma 2014 che apre uno sguardo laterale e non omologato sulla narrazione dell’Agro Pontino. Più in generale, sul tema del rapporto uomo-ambiente-ecologia vale davvero la pena leggere A. Weber, che è, almeno per un profano come me, davvero sconvolgente nel modo di proporre interpretazioni sulla natura umana in relazione all’ambiente. Si veda Matter & Desire – An Erotic Ecology e il sito https://cultures-of-enlivenment.org/en piuttosto spiazzante ma anche rivelatorio. Dall’altro verso, in maniera molto più spumeggiante però un tantino sensazionalistica, troviamo le pubblicazioni di Stefano Mancuso, che provoca reazioni come quella a questo link: https://www.ildolomiti.it/altra-montagna/cultura/2024/la-%E2%80%9Cbotanicstar%E2%80%9D-stefano-mancuso-paragona-i-migranti-alle-piante-aliene-scatenando-la-protesta-di-tre-importanti-societ%C3%A0-scientifiche-una-riflessione-sul-bisogno-urgente-di-complessit%C3%A0. Il dibattito non si limita a questo, ovviamente, sono solo esempi di come la questione possa diventare ampia, complessa e di difficile soluzione condivisa. Io, però, sono troppo prosaico e mi limito a stare in cantiere, culturalmente parlando.
Una preziosa e insuperata interpretazione di questa situazione misoneista e conservatrice è leggibile in G. Barone, Mezzogiorno e Modernizzazione, Torino 1986
G. Biagioli, La mezzadria poderale nell’Italia centro settentrionale in età moderna e contemporanea (secoli XV-XX), Rivista di Storia dell'Agricoltura - a. XLII, n.2 dicembre 2002, pp. 53-102
C. Ciammaruconi, Politiche della memoria: pionierismo e senso d’identità nell’Agro pontino dal dopoguerra a oggi, in «Latium» 35 (2018), pp. 239-267
A. Pennacchi, I rurali di Littoria in Fascio e Martello, viaggio per le città del duce, Laterza, 2008, p. 138
M. Fuller, Edilizia e potere: l’urbanistica e l’architettura coloniale italiana, 1923-1940, in Studi piacentini 1991.
D. Ghirardo, K. Forster, I modelli delle città di fondazione in epoca fascista, in Storia d’Italia, Annali 8. Insediamenti e Territorio, 1985
Per una rapida infarinatura: https://www.nationalgeographic.it/storia-e-civilta/2020/02/le-leggi-di-jim-crow-hanno-creato-un-altro-tipo-di-schiavitu. La letteratura è sterminata.
G. Almirante, La razza dell'Agro nel passato; Gli Ebrei e l'Agro Pontino, in La Difesa della Razza, n. 12 - 20 aprile 1940, pp. 18-23
Si tratta del prestito che la banca Morgan voleva concedere alla Società Bonifiche Pontine.
A. Pennacchi, I rurali di Littoria in Fascio e Martello, viaggio per le città del duce, 2008, p.134
Una bella sintesi di questa vicenda è del sempre affascinante T. Widmer, Draining the Swamp, in The New Yorker, Gennaio 2017