PIÙ TEMUTO DELLA MATEMATICA: IL VOTO DI CONDOTTA
Con la legge 150 il comportamento pesa più di ogni disciplina. Ma si continua a valutarlo senza una formazione pedagogica adeguata.
Con la fine dell’anno scolastico, ogni consiglio di classe di ogni scuola italiana si appresta a celebrare gli scrutini finali. Con la legge 150/20241, la valutazione del comportamento, il vecchio voto di condotta, è divenuto un fattore decisivo nel percorso scolastico degli studenti e delle studentesse. Un sei in condotta obbliga la sospensione del giudizio e la redazione di un elaborato su cittadinanza e costituzione da discutere ad agosto oppure, se già all’ultimo anno, all’esame di maturità. Un cinque comporta la non ammissione all’anno successivo o all’esame stesso.
Il comportamento ha oggi dunque un peso maggiore di qualunque altra disciplina curricolare. Più di Matematica, di Inglese, di Filosofia. Eppure continua a non essere né insegnato, né discusso in modo strutturato. Non è materia, ma viene giudicato come tale.
Una valutazione senza pedagogia
La scuola italiana si affida a una valutazione della condotta senza aver mai costruito una pedagogia della condotta. Insegna contenuti, ma quando valuta il comportamento degli studenti e delle studentesse, i loro atteggiamenti, le loro reazioni, lo fa spesso senza strumenti specifici. La relazione educativa, se c’è, resta implicita. La sanzione prende il posto dell’ascolto. Il voto, quello dell’interpretazione.
Ogni Collegio dei docenti, all’interno del piano triennale dell’offerta formativa, approva una propria griglia per valutare il comportamento. Questo evita l’arbitrarietà, ma non garantisce la qualità. Non esiste oggi alcuna formazione sistematica e certificata per valutare il comportamento degli studenti e delle studentesse. Eppure, con la nuova normativa, il voto in condotta incide direttamente sull’attribuzione del credito scolastico e quindi sul voto finale dell’esame di Stato2.
Molte scuole non hanno ancora aggiornato i propri criteri alla luce della riforma. Manca un confronto nazionale, manca una riflessione pedagogica condivisa. La griglia esiste, ma resta un simulacro tecnico che non colma il vuoto formativo.
Il mito dell’autorità ripristinata
La legge 150 promette di restituire “autorità” ai docenti. Ma l’autorità senza autorevolezza non regge. La si invoca come argine al disagio scolastico, ma senza investire nella costruzione di competenze educative, si trasforma in un potere formale, facilmente delegittimato.
Nei fatti, si chiede agli insegnanti di agire come educatori, ma li si forma solo come trasmettitori di contenuti. Si pretende che valutino il comportamento con lo stesso rigore con cui valutano una prova di matematica, ma senza aver mai ricevuto una formazione sulle dinamiche relazionali, sul riconoscimento dei segnali di disagio, sulla gestione positiva del conflitto.
Così, la scuola si irrigidisce. Diventa normativa, sanzionatoria. Più incline a punire che a comprendere. Più preoccupata di “farsi rispettare” che di costruire rispetto.
Più che sostenere l’autorevolezza del docente, dunque, la legge sembra affidare alla scuola uno strumento per esercitare autorità senza riconoscere allo studente e alla studentessa la libertà di riconoscerla. Perché la differenza sostanziale tra chi è autorevole ed esercita l’autorità (che l’istituzione scuola deve indubbiamente avere) e chi invece è autoritario sta proprio qui: l’autorità è tale quando viene riconosciuta e seguita liberamente dagli studenti e dalle studentesse.
Dunque l’autorevolezza è la capacità di proporre e rappresentare l’autorità di suscitare una libera e consapevole adesione a questa. Il contrario è l’autoritarismo. L’insegnante che entra in classe, forte anche della nuova legge e decide a priori che gli studenti e le studentesse debbano essere attenti e attente, debbano eseguire, debbano comportarsi in modi prestabiliti, per il semplice dato dei ruoli (insegnante/docente), è la premessa di ogni autoritarismo.
La legge 150 si presenta come una modifica sostanziale al decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 62, che organizzava le Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, senza alterare l’art. 1 del decreto stesso. Ma è proprio l’art. 1 del decreto citato che recita, al comma 3 “La valutazione del comportamento si riferisce allo sviluppo delle competenze di cittadinanza. Lo Statuto delle studentesse e degli studenti, il Patto educativo di corresponsabilità e i regolamenti approvati dalle istituzioni scolastiche ne costituiscono i riferimenti essenziali.” e lo statuto degli studenti e delle studentesse3, nell’art. 1 comma 3 recita:
“La responsabilità disciplinare è personale. Nessuno può essere sottoposto a sanzioni disciplinari senza essere stato prima invitato ad esporre le proprie ragioni. Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto.”
Nella nuova disposizione, invece, è decisamente evidente che la valutazione della condotta influisca pesantemente sulla valutazione del profitto, tanto da, nei casi valutati con l’insufficienza o anche con la sufficienza, imporre la ripetizione dell’anno e dunque dello studio di tutte le discipline, come pure condizionare il voto finale dell’esame di stato. Occorre, di nuovo e con ragionevolezza, riflettere sul senso del voto nella scuola.
Educare significa comprendere
Il voto in condotta, per come oggi è concepito, non educa. Giudica.
Non è uno strumento di crescita, ma un dispositivo di selezione e di esclusione.
Gli studenti e le studentesse più fragili, quelli e quelle che manifestano il disagio in forma oppositiva, pagano il prezzo più alto. E i docenti, senza formazione, si trovano soli e sole a esercitare un potere valutativo senza le necessarie basi pedagogiche.
Una scuola che prende sul serio il comportamento degli studenti e delle studentesse deve saperlo progettare, insegnare, valutare in modo consapevole. Non basta scriverlo in pagella. Occorre formare chi lo osserva. Occorre aggiornare le griglie valutative. Occorre riconoscere che educare significa comprendere prima di giudicare.
Oggi il comportamento pesa più di ogni altra disciplina. Ma continua a essere il terreno meno strutturato della valutazione scolastica. È il punto cieco di una scuola che pretende controllo senza relazione, disciplina senza dialogo, rispetto senza riconoscimento.
Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell'autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati. (24G00168) https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2024/10/16/24G00168/sg
Credito Scolastico: https://www.mim.gov.it/credito-scolastico-e-credito-formativo
Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, concernente lo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2007/12/18/007G0251/sg
Avendo una orribile fascista come vice ministro dell’ Istruzione non mi stupisco del vuoto educativo! Me ne rammarico! Ho avuto alle scuole superiori un preside prete e partigiano. Sono stata molto fortunata e penso di poter discernere la cultura dal vuoto cosmico! Grazie per le informazioni! 🐞