FUORI CAMPO 02 | QUELL’IMPORTANTE BISOGNO DI FARE RETE: INTERVISTA A MASSIMILIANO CLEMENTE
Un dialogo con il direttore editoriale di Tunué su cultura, identità e narrazione del territorio: perché senza reti, radici e visioni condivise, una città rischia di perdersi
Altro scorcio da “Fuori Campo”: con Spazio2032 abbiamo intervistato Massimiliano Clemente, direttore editoriale e, insieme a Emanuele Di Giorgi, fondatore nel 2004 della casa editrice Tunué. Una straordinaria realtà tutta latinense, da diversi anni al vertice dell’editoria italiana nel settore fumetto (prima tra le case editrici di fumetto, tolti i manga; terzo editore nella fascia primaria; settimo tra i marchi di libri per ragazzi). E così, con “Fuori Campo”, ci impegniamo non solo nel raccogliere i ricordi e le prospettive di chi Latina ora la guarda da lontano, ma anche di chi è rimasto e si impegna per la città, pur mantenendo un profilo più discreto rispetto a posizioni più rumorose, però non sempre sorrette dalla stessa solidità.
Massimiliano Clemente, tornando indietro alla fondazione di Tunué, essere a Latina come casa editrice emergente cosa ha significato? Ha aiutato oppure il territorio con le sue carenze, se c’erano al tempo, è stato d’ostacolo?
Siamo nati dal basso e ognuno di noi ha avuto dei percorsi differenti. Il mio viaggio nel mondo della produzione culturale è iniziato dalle superiori con una fanzine di musica (Ossigeno), varie collaborazioni giornalistiche e un’associazione culturale, arti(e)rumori, che organizzava spettacoli teatrali e concerti di musica indipendente e di ricerca. A metà anni Novanta del secolo scorso l’incontro con Emanuele Di Giorgi, e l’approdo al mondo delle storie. Con lui, mio attuale socio, abbiamo aperto una fanzine cartacea (Smettila) e un portale internet nel 2000 (Komix.it), agli albori del world wide web. Nel 2004 abbiamo poi fondato la casa editrice.1 Tutto questo l’abbiamo fatto a Latina, cercando di avere uno sguardo il più esteso e lontano possibile, con un’attenzione alle esperienze internazionali. È stato complicato iniziare qui, perché la nostra città ha sempre sofferto di un provincialismo di basso livello rispetto alle province più illuminate d’Italia. Se avessimo guardato solo alla realtà locale, a livello di rapporti, di conoscenze e di circolazione di idee e informazioni, sarebbe stato problematico. Non a caso, quando nel 2018 siamo entrati nel gruppo Il Castoro, mettendo un piede a Milano e iniziando a viaggiare con molta più frequenza in Italia e all’estero, siamo entrati in contatto con nomi, festival e istituzioni diversi, e questo confronto costruttivo ci ha permesso di crescere in maniera esponenziale. Abbiamo quindi visto che il luogo è importante. Nonostante tutto però, essere a Latina non è stato così limitante nella nostra storia, perché negli anni precedenti al 2018 siamo riusciti a costituire un catalogo importante che ci ha dato un’anima, un’unicità, e che ci ha reso un soggetto interessante anche per le grandi realtà editoriali. Avevamo raggiunto risultati rilevanti sia nel fumetto sia nella narrativa letteraria (con cinque partecipazioni al Premio Strega). La realtà cittadina ha agito più nel profondo dei nostri vissuti, nelle nostre storie di vita, consolidando il gruppo di lavoro originario. Nelle nostre visioni future ci immaginiamo la formazione di uno zoccolo duro di appassionati e la nascita di un indotto di settore. Faccio un esempio: a Loreto ha sede la Rainbow, una realtà gigantesca a livello mondiale, che si occupa di animazione, cinema, publishing. Tutto è iniziato dalla passione per il fumetto del fondatore, Iginio Straffi. Ora a Loreto c’è una sede con più di cento dipendenti, molti provenienti dal territorio marchigiano. Parliamo di ragazzi e ragazze che si sono formati, hanno acquisito una professionalità e hanno creato una comunità impressionante. Addirittura, all’interno della loro sede hanno creato anche una scuola internazionale dell’infanzia per i figli dei dipendenti e aperta al territorio. Questo esempio per dire che se si lavora bene in un posto, anche piccolo e marginale, si può creare un ecosistema culturale e industriale importante.
Hai detto che all’inizio la città non vi ha considerato. In merito a questo spunto, l’anno scorso Latina si è candidata come capitale italiana del libro: un’esperienza finita male così come Latina capitale della cultura. Come Tunué siete stati coinvolti in qualche modo? Che tipo di riflessioni si possono fare in merito a come sono andate queste iniziative?
Sì, siamo stati contattati. Il problema della candidatura di Latina, per quanto poteva rappresentare una grande opportunità, è che mancava proprio di basi strutturali. Parliamo di una città che ha una biblioteca a mezzo servizio, anzi, per molti anni non l’ha proprio avuta.2 L’unica pienamente funzionante, che organizza anche delle iniziative, è quella di Latina Scalo. Per una città con 130 mila abitanti fare affidamento solo su un piccolo presidio è decisamente limitante. Librerie, poi, ce ne sono poche. Il discorso culturale, allargando il quadro e senza limitarsi solo al mondo del libro e del fumetto, è sinceramente fiacco. Parlando al plurale, per coinvolgere tutte le realtà che operano sul territorio e per non chiamarsi fuori, non siamo stati in grado di fare rete e di far emergere le eccellenze che ci sono. Quello che fate voi, con Spazio, è molto importante perché riportate alla luce chi si impegna sul territorio o chi da fuori ha dato il suo contributo. Questo è un aspetto che dovrebbe essere considerato in un’ottica di sviluppo futuro, per avere un dialogo sempre più costante tra tutti gli attori che operano nella cultura, sia in quella più tradizionale che in quella più aperta e sfaccettata.
Vero, Latina ha un problema nel mettere in atto una propria rete culturale. Ecco, si tratta di un problema relativo soltanto alle infrastrutture oppure c’è dell’altro?
Sicuramente le strutture possono aiutare. Un luogo di incontro che sia la biblioteca, un palazzo della cultura, oppure un qualsiasi centro aperto alle contaminazioni di diversi linguaggi, alla raccolta e alla diffusione di informazioni. È vero che tutto questo può essere fatto utilizzando i social, però credo che un luogo fisico abbia un suo peso specifico, una sua importanza peculiare. Presupponendo uno sforzo totalmente diverso rispetto alla semplice produzione di un’informazione digitale. A concorrere alla mancanza di una rete potrebbe aver inciso quel sentimento, del tutto provinciale, che fa sentire tutti come re del loro piccolo mondo, ben arroccati nella loro zona di comfort, con la paura di perdere quel po’ di controllo su ciò che si conosce. Un approccio molto limitante, purtroppo, miope al confronto critico e costruttivo. Ecco, credo che l’insieme di questi elementi abbia contribuito a creare la realtà con cui ci scontriamo oggi. A questo aggiungiamo che non c’era e non c’è una radio o un giornale di riferimento (al netto dei media generalisti), non c’è mai stato un centro sociale, ad esempio. Latina non ha luoghi di aggregazione, fondamentali per qualsiasi discorso di sviluppo culturale.
A proposito di luoghi e mezzi di aggregazione: la cittadinanza attiva in relazione alla cultura può aiutare un settore, quello dell’editoria, che si regge più che altro su coloro che vengono chiamati lettori forti?3 Magari tenendo conto anche della bibliodiversità o di progetti di promozione della lettura, come per esempio Fumetto a scuola di Tunué.4
La domanda è complessa perché prevede più direzioni. Nello specifico, per l’editoria partiamo da un dato strutturale purtroppo pesante che riguarda i lettori. L’Italia ha l’indice di lettura tra i più bassi in Europa5 e questo incide in maniera profonda su tutto il settore. La pandemia ha portato dei benefici, perché, per forza di cose, alcuni consumi sono cambiati a favore di altri. Di questo il settore del libro ne ha goduto, anche se si tratta di un effetto che sta scemando. Questo fa sì che ogni iniziativa in questo settore sia come scalare una montagna impervia. Allora dobbiamo mettere in campo azioni specifiche, specialmente per i ragazzi che sono quelli più ricettivi, sperando che in questo modo si formi il lettore del domani. Tra queste, le attività che facciamo con le scuole, i vari laboratori, il potenziamento di un catalogo per ragazzi che a oggi è veramente tra i più importanti in Italia: la Tunué fa quasi il 50% del mercato di questo settore. Inoltre, in rapporto all’indice di lettura basso servirebbe un investimento non solo locale, ma soprattutto di livello nazionale e governativo, su quella che dovrebbe essere considerata un’emergenza del Paese. Il rapporto Ocse-Piaac vede l’Italia agli ultimi posti nella comprensione dei testi base, quindi significa che un lettore non è in grado di comprendere quello che legge, sia un libro, un articolo di giornale, un contratto, una legge. Senza considerare le abilità matematiche e di problem solving. Insomma, se questa non è un’emergenza nazionale che incide sul futuro dei suoi cittadini, anche sulla loro capacità di cambiamento di status sociale, è difficile comprendere quali possano essere le misure più adatte. È vero che ci sono pochi soldi in giro, che l’indice di povertà aumenta e condiziona la quotidianità delle persone, ma proprio per questo trovare fondi per promuovere la lettura e l’apprendimento minimo è un qualcosa che un paese civile deve porsi come obiettivo strutturale. Non può limitarsi a iniziative come l’ultimo decreto Olivetti, il quale è abbastanza aleatorio perché non è una legge e prevede fondi sufficienti solo per il 2025 con una drastica diminuzione nel prossimo anno. Poi l’abolizione del Bonus Cultura ha portato danni a tutto il settore. Quindi, credo che servano un insieme di azioni: il privato deve agire per quello che può, ma deve esserci un indirizzo istituzionale come accade già in altri paesi.
A livello nazionale servono quindi delle politiche culturali organizzate che funzionino. Invece, tornando su Latina, avrai probabilmente sentito parlare della legge sul centenario della città, in merito a questo argomento pensi che potrebbe essere coinvolta l’editoria del capoluogo nella vita della fondazione? Ovvero l’ente che gestirà i fondi riservati al centenario.
Non so come verranno gestiti questi fondi o che idee stanno prendendo piede in questo periodo. Come Tunué, in quanto realtà editoriale cittadina di rilevanza nazionale e internazionale, avremmo il piacere di poter dire la nostra, contribuire in qualche modo per dare testimonianza di quello che facciamo, per creare un legame ancora più stretto con la città. Quindi, non mancherà da parte nostra la volontà e l’impegno nel prendervi parte, qualora venissimo coinvolti in qualche modo.
Come ben sai, una storia è portatrice di uno o più significati. Ecco, staccandoci un po’ dal campo dell’editoria, pensi che quella mitologia che c’è dietro al racconto della bonifica possa valorizzare il territorio oppure, a lungo andare, potrebbe limitarne le capacità di raccontarsi e di proiettarsi nel futuro?
Da questo punto di vista il nostro territorio ha più storie che potrebbero venire fuori. La bonifica è una di queste, ma tutta la riviera d’Ulisse è piena di storie che affondano le proprie radici nella notte dei tempi. Quindi, dipende su quale narrazione vogliamo portare l’attenzione di tutti. Dipende da cosa vogliamo raccontare. I vostri ultimi contributi in questo senso gettano una luce nuova su come si può raccontare uno stesso evento. Indubbiamente la bonifica ha formato il territorio, in parte gli ha fornito un’identità, però io sono più per guardare oltre. È una storia in divenire: siamo talmente giovani come città che trovare per forza delle radici in questa fase può essere controproducente. Per rifarmi a una citazione, che poi è anche il titolo di un libro scritto da un grande antropologo,6 in questi contesti i frutti puri possono impazzire. Avere per forza le radici piantate in una mitologia, al di là degli schieramenti politici, non è detto che sia un valore. Quindi, in questa fase sono più per guardare oltre, cercando di raccontare il presente con le varie sfaccettature di chi, in più settori, cerca di fare qualcosa in questo territorio. Il racconto di quello che fa diventa così parte della storia collettiva e, proprio per ricollegarmi all’esempio che facevo prima, un’azienda può creare un ecosistema e quindi può essere il valore aggiunto in una narrazione di un luogo. Se riusciremo a fare rete, a fare emergere queste cose facendole sedimentare nel tempo, potremmo portare all’attenzione della città un racconto diverso.
Noi, come Spazio 2032, stiamo cercando attraverso questa rubrica di trovare degli elementi diversi da quelli della bonifica, ma che siano ugualmente rappresentativi della storia e del territorio nella sua interezza. Detto questo, a proposito di narrazioni, come sai molto spesso i personaggi di una storia devono muoversi lungo un determinato percorso per raggiungere una meta o un obiettivo. Ecco, se dovessimo trovare un punto di raccordo sulla storia della nostra città, il tema del viaggio, e quindi di questo essere in continuo movimento sia per le persone che per il luogo stesso, potrebbe essere una costante per il nostro territorio?
Sì, assolutamente. Il tema del viaggio è affascinante per tantissimi aspetti, come per le contaminazioni che può generare, per l’ampliamento dello sguardo, per le barriere che può abbattere. Mi viene in mente L’approdo di Shaun Tan,7 un nostro libro, che racconta di immigrazioni e che va proprio in questa direzione. È senz’altro un aspetto che mi trova d’accordo. Il viaggio è foriero di bellissime esperienze, sensazioni. Ci predispone all’apertura verso l’altro, a una comunicazione priva di barriere date dalla consuetudine del luogo e dalle persone che giornalmente vivono vicino a noi.
Infine, hai un augurio specifico per Latina in vista del 2032?
Quello di riuscire finalmente a creare una rete tra tutti noi che, a vario titolo, operiamo in questo settore e che cerchiamo di lasciare un segno e di arricchire le vite delle persone, con racconti, narrazioni, visioni ed esperienze. Ci terrei particolarmente, anche per la mia storia che ha attraversato generi ed esperienze diverse, sempre nei settori della cultura. Ho visto tante persone che si sono impegnate tantissimo, hanno speso anni e anni della loro vita, impiegando anche risorse economiche per cercare di fare qualcosa che ha poi ricevuto poco interesse dalla città. Ecco, riuscire veramente a fare comunità con tutti coloro che producono cultura potrebbe essere quel passo che permetterà a Latina di avere un’anima tra altri cento anni.
Lanzidei Graziano, Una città senza biblioteca è una città senza futuro, Spazio2032: https://spazio.substack.com/p/una-citta-senza-biblioteca-e-una
chi legge mediamente almeno un libro al mese.
Mosca Maria Paola, Libri, l’Italia tra i peggiori d’Europa nonostante la crescita della lettura fra i giovani, Il Sole 24 Ore: https://alleyoop.ilsole24ore.com/2024/08/26/libri-europa/
Clifford James, I frutti puri impazziscono, Bollati Boringhieri, 2010.